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EDITORIALE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO DONALD TUSK – LA STAMPA 22.04.2016

SE L’UE VUOLE AIUTARE NON PUÒ RESTARE INERME  –  di Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo

Un anno fa, all’inizio della crisi migratoria, alcuni hanno accettato come un dato di fatto che l’ondata migratoria fosse troppo grossa per poterla arrestare. Una conseguenza è stata la sospensione delle norme di Schengen e di Dublino con una apertura del nostro territorio a una migrazione incontrollata. Gli europei hanno assistito a una crescente inerzia e incertezza, accanto a timori – più o meno giustificati – riguardo alla nostra sicurezza, alla capacità di integrare i nuovi arrivati nelle nostre società e di far fronte alle conseguenze sociali e finanziarie di un flusso incontrollato di migranti. Questo crescente disagio ha fornito terreno fertile per atteggiamenti radicali, populistici, spesso nazionalistici. Con intensità senza precedenti, il dibattito europeo si è impregnato di profezie e interrogativi apocalittici sul futuro dell’Europa.

Un requisito fondamentale per interrompere questa tendenza pericolosa era un cambiamento di paradigma. Alcuni mesi fa ho proposto di partire dal presupposto contrario, cioè che l’ondata migratoria è troppo grande per non fermarla. La nostra priorità dovrebbe essere una reale politica migratoria. L’Unione europea e i suoi Stati membri devono recuperare la capacità di decidere chi attraversa le nostre frontiere, dove e quando. Paradossalmente, è essenziale per mettere in atto una politica di asilo razionale e umana. Senza un tale approccio anche le tragedie in mare continueranno. Conosciamo la gravita della situazione attuale. Mercoledì l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha affermato che fino a 500 migranti possono essere morti la scorsa settimana nel naufragio di una grande imbarcazione nel Mediterraneo.

Il cambiamento di paradigma ha dato risultati e ha suscitato una cauta speranza, anche se non ci illudiamo che il problema sia risolto. Ci attendono mesi, forse anni, di sforzi e scelte difficili. Quello che vediamo ora sono i dati positivi sulla rotta dei Balcani, fino a poche settimane fa la rotta principale. Le cifre parlano: 70.000 in gennaio, 50.000 in febbraio, 30.000 in marzo, e circa 3000 in aprile.

Tre decisioni sono state fondamentali. In primo luogo, il Consiglio Ue di febbraio ha deciso di porre fine all’atteggiamento permissivo e tornare al pieno rispetto delle norme di Schengen. I leader hanno ribadito che non ci sarà una soluzione europea senza il rispetto del diritto europeo. A metà del 2015, nel pieno della crisi, l’Europa ha ignorato i propri principi e le proprie leggi, dando così prova di debolezza e indecisione. In questa prospettiva, le conclusioni tratte a febbraio sono state un grande successo. Dovrebbe servirci da lezione.

In secondo luogo, l’inclusione permanente dei Paesi dei Balcani fra le priorità europee in materia di migrazione. Nei prossimi mesi sarà necessario un ulteriore sostegno. Mi sono impegnato m questo processo pienamente consapevole dei rischi e delle controversie cui da origine. La cooperazione con i nostri partner dei Balcani, come l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, non è facile. Ma la leadership politica consiste nella disponibilità a prendere decisioni difficili, anche di fronte a un’opinione pubblica ostile.

E da ultimo, la cooperazione con la Turchia. Per molti di noi era per lo meno controversa. Vi si è giunti perché i leader hanno deciso che costituiva il modo più efficace per sostenere la Grecia e chiudere le rotte del traffico di esseri umani nell’Egeo. Ho mobilitato tutti gli Stati membri a sostegno di questo, a due condizioni irrinunciabili: che siano protettigli interessi dei membri della nostra comunità, ad esempio Cipro, e che sia pienamente conforme al diritto internazionale e dell’Ue. La cooperazione è un elemento importante della nostra strategia, ma ricordiamoci che è solo un elemento fra tanti.

La soluzione nei Balcani e l’accordo con la Turchia non costituiscono un modello universale applicabile ad altre rotte migratorie, compresa la rotta del Mediterraneo centrale. La Libia non è la Turchia. Chiudere la frontiera al passo del Brennero colpirebbe il fulcro di Schengen. Per tale motivo è accolto con favore il patto sulla migrazione proposto recentemente dal primo ministro Renzi. L’Europa dovrebbe inoltre sostenere l’Italia nelle sue azioni contro i trafficanti, il che richiederà probabilmente un maggior coinvolgimento in Libia.

Nessun altro proteggerà le nostre frontiere al posto nostro. Non possiamo cedere ad alcun paese terzo le chiavi di accesso al nostro territorio, alla nostra sicurezza. Ciò vale per la Turchia e per i paesi nordafricani. La nostra inerzia provocherebbe la tentazione di ricattare l’Europa. Troppo spesso ho sentito dai nostri vicini che l’Europa dovrà cedere, altrimenti sarà sommersa dai migranti. In quel momento ho capito che la nostra cooperazione sarà una cooperazione di partner solo se riconquisteremo la nostra capacità di controllare la migrazione.

Solo Stati forti sono in grado di sostenere le persone bisognose su larga scala, senza il rischio di autodistruggersi. Politiche dure non escludono obiettivi umanitari, al contrario, solo politiche decise ne consentono l’attuazione. Se vogliamo che l’Europa rimanga aperta e tollerante, non possiamo più permetterci di essere inermi. Abbiamo bisogno della solidarietà e della determinazione di tutti gli Stati membri in ogni aspetto della politica di migrazione: ricollocazione, aiuti umanitari, azioni esterne e in particolare protezione delle nostre frontiere esterne. La posta in gioco non è solo il futuro di Schengen bensì il futuro stesso della nostra comunità.

La recente esperienza con la Turchia dimostra che l’Europa deve fissare limiti precisi alle sue concessioni. Possiamo negoziare sul denaro, ma non possiamo mai negoziare i nostri valori. Non possiamo imporre le nostre norme al resto del mondo. Allo stesso modo, gli altri non possono imporci le loro. Le nostre libertà, compresa la libertà di espressione, non saranno oggetto di contrattazioni politiche con alcun partner. Questo messaggio deve ascoltarlo anche il presidente Erdogan.